Una sensibilità d’avanguardia
Erede della storia dei popoli
Al servizio dell’arte eterna
I colori, le forme, i tratti, tante vibrazioni, ognuna delle quali porta con sé il proprio messaggio. Come per le modulazioni musicali, per quelle dei suoni della voce, come il lieve pizzicore dei profumi, sia quelli regalati da madre natura che quelli costruiti dall’uomo. Sono i sentieri consapevoli o incoscienti di questa natura e del pensiero umano. Ma in questo caso, frutto della forza genitrice della mente di una persona viva, unica e della Creazione, multipla. Che sia una rappresentazione grafica o fonica, la fonte è sempre la medesima, la sensibilità dell’artista.
Il poeta, che sia pittore, musicista o scrittore, traduce nella propria opera, per se stesso come per gli altri, il proprio stato d’animo, illuminato da un’esperienza fatta di gioie e di sofferenze, che accompagna l’eredità delle generazioni passate. In questo modo, si trova di fronte, in un momento privilegiato, ad un presente anch’esso unico, ai millenni dell’universo che l’hanno generato.
L’opera di Mario De Leo indugia pienamente in questa culla della creazione. Nei suoi personaggi, ritroviamo le forme primitive delle donne delle caverne. Fianchi possenti, fatti per portare tante persone, dai quali usciranno le generazioni future. Ma la volontà dell’artista fa sì che siano accompagnati dalla grazia delle curve, dalla snellezza dei tratti, che non rinnegherebbero un Picasso piuttosto che un Matisse. C’è spazio anche per il nostro secolo, attraverso le maschere dei volti. Se si ispirano ai fumetti degli extraterrestri, ritroviamo l’armonia della composizione nella linea diritta dei vecchi classici.
Un altro esempio, supponendo di considerare questa scena che ritrae alcuni ballerini, con i movimenti di ognuno che si ripercuotono e si prolungano in quelli dei vicini, conferendo così al disegno unità e armoniosa consistenza. E poi la pennellata vivace, nervosa, con quell’impressione di spontaneità del disegno che deriva dall’esperienza e dall’abilità dell’artista, trasmette allo spettatore i movimenti della vita.
Una delle numerose invenzioni di Mario De Leo, è quella di introdurre nella propria opera una materia che le darà ancora più rilievo. Su uno sfondo cangiante, fatto di carta goffrata dipinta, l’artista compone, servendosi di questo originale supporto, delle sue tortuosità, per accompagnare e sostenere il proprio discorso.
Partendo da questi criteri, Mario De Leo spicca il volo, superando gli ostacoli del mondo terreno. Beffandosi di mari e montagne, partendo dal principio di universalità degli abitanti del nostro pianeta, ci pone di fronte a maschere ancestrali, a figure amazzoniche. Il nostro sguardo non potrà fare a meno di ricollegare i lineamenti delle sue donne e dei suoi uomini a quelli scoperti nelle caverne primitive e che costituiscono una fonte di ispirazione per molti dei nostri artisti compreso Mario De Leo, dimostrando così l’universalità dell’arte attraverso lo spazio e il tempo. La danza è l’espressione corporale universale del linguaggio musicale, non conosce né le frontiere umane del linguaggio parlato né quelle della civiltà, della cultura o delle convenzioni. Dominando la morale, la parola dei corpi si fonde, si intreccia, si unisce a quella delle vibrazioni musicali, per emergere con vigore in un coro di voci divine. Mario De Leo traduce per noi, con la sensibilità che gli è propria, sotto forma di disegni, tutta la filosofia celata in questa parola.
Mario De Leo, che è nato giovedì 16 novembre 1944 a Ruvo di Puglia, vicino a Bari, adesso vive all’altro capo della penisola, nella periferia milanese, a Sesto San Giovanni. La sua formazione, anch’essa musicale, non poteva non subire l’influenza di secoli e secoli di creazioni artistiche come soltanto in Italia si possono ammirare nelle vie, sulle piazze, con i loro monumenti civili piuttosto che di ispirazione religiosa. Mario De Leo era destinato ad assimilare, nei lunghi anni dell’infanzia e poi nel corso dell’adolescenza, questo sottofondo sonoro, questa atmosfera, che unisce tutte le Arti, di tutti i Tempi, e tradurle in un’espressione che trae la propria linfa vitale dal terzo millennio che è alle soglie. Come gli antichi facevano entrare nei loro paesaggi i fasti della Corte dei Re e degli Imperatori, con i loro vasi e con le loro coppe d’oro puro cesellate a mano, così Mario De Leo apre la propria arte ai gioielli della nostra epoca, generati dal grembo della creatività dei saggi.
Ispirandosi ai supporti della microinformatica, l’Artista utilizza la sobrietà di un collegamento stampato su una scheda elettronica, la rotondità di un chip, la finezza cilindrica di una microesistenza, il corpo carnoso di un condensatore creando così dei quadri nei quali l’informatica sfocia nel campo finora riservato alle arti visive. Poi, trasportato dal suo slancio creativo, Mario De Leo inventa monumenti, paesaggi e città nei quali, superando la barriera delle dimensioni spazio-temporali, ci farà entrare spiccando il volo nel nostro futuro. L’artista ci accompagna all’interno e all’esterno del suo immaginario, per farci sognare su un tema sovrannaturale, diventato naturale, attraverso la magia di un’arte che ha recuperato il Tempo.
Il rigore dei disegni squisitamente figurativi di Mario De Leo che abbiamo potuto ammirare, l’esattezza della loro composizione, sono una dimostrazione della sua libertà nei confronti dell’arte, e grazie alla sua abilità, della sua libertà di creare. Se Mario De Leo è il primo ad avere introdotto con tanta convinzione alcuni elementi della nostra epoca nei suoi quadri, non l’ha fatto per provocazione bensì perché ha immagazzinato dentro di sé ciò che lo circonda. Perché è un pittore testimone del suo tempo, sensibile alla sua epoca, senza per questo rinnegare il passato dei nostri padri che l’hanno formato. Sono loro che hanno influenzato la sua arte.
Nel suo caso, l’evoluzione dell’artista è la nostra evoluzione. Mario De Leo è il messaggero dell’espressione poetica del mondo della scienza nel quale ci evolviamo e che si muove, simile a un’ombra cinese, su uno sfondo di Storia. Quella dell’Umanità, della nostra Umanità.
Christian Germack
1997